Incontro diverse mamme e figli (dai piccoli agli adolescenti) nonché i volontari di un gruppo parrocchiale che a Roma supporta i profughi ucraini. Queste persone sono arrivate in Italia subito dopo lo scoppio della guerra. I bambini e i ragazzi che frequentano qui le lezioni d’italiano, suddivisi per età, non frequentano la scuola italiana. “Il nostro scopo è riuscire a inserirveli, anche se speriamo che non ce ne sarà necessità perché torneranno a casa” dice una delle volontarie. La maggior parte dei volontari è composta da insegnanti che dedicano parte del loro tempo libero a istruire i giovani ucraini che adesso si trovano nella capitale.

Mentre tutti speriamo che presto questi bambini e le loro mamme possano tornare a casa, qui possono trovare un aiuto, del supporto e la consapevolezza di non essere soli. Parlo con tre di loro, la prima a raccontarmi la sua storia è Ira, 33 anni, da Mykolayv: “La mattina del 24 febbraio 2022, alle cinque, abbiamo sentito il rumore dei bombardamenti. Ho preso i bambini e siamo scappati fuori dalla città, andando da mia sorella”. Ira estrae il telefono e mi mostra un video girato all’interno del nascondiglio di fortuna: “Abbiamo trascorso due giorni lì dentro, tre bambini e quattro adulti, poi siamo tornati in città. Non volevo essere di peso a mia sorella. Abitavamo in un appartamento al secondo piano e, come tanti ucraini, quando c’era pericolo di bombardamenti, andavamo in corridoio. Tutti pensano che i corridoi siano piuttosto sicuri”. Mi mostra nuovamente il telefono, stavolta c’è una foto, quella di due bambini che dormono su un materasso, sotto una coperta, in un corridoio.
“Abbiamo capito che i bombardamenti non si sarebbero fermati quindi abbiamo preso mia nonna, di ottant’anni, e siamo andati quattro giorni in Moldavia. Lì alloggiavamo negli alberghi perché c’erano zii e amici che ci aiutavano a prenotarli. A quel punto, abbiamo preso un autobus per l’Italia, perché mia madre viveva già qui. Abbiamo viaggiato su quel bus per due giorni.”
Sento una voce alle mie spalle, “Sono io la madre”.
Una donna dall’aspetto giovanile, molto graziosa, che parla un buon italiano. Anche lei racconta: “Vorrei tornare a casa. Sono preoccupata per mia madre, di ottant’anni, che è ancora lì ed è senz’acqua. A Mykolayv l’acqua manca da due mesi. Non siamo riuscite a portarla qui e, nonostante sia felice di avere mia figlia e le mie nipotine con me, sono molto preoccupata per lei. Prego per lei ogni giorno, così come prego per tutto il mio popolo, per i bambini e gli anziani”.
Chiedo alle due donne che cosa vorrebbero dire al mondo. La prima a rispondere è Ira: “I russi sono brutte persone, ammazzano, fanno del male alla gente. Questo sta succedendo veramente in Ucraina”. La madre aggiunge, “Mia figlia ed io la pensiamo diversamente su alcune cose, per me tutti i politici sono colpevoli: Putin, Zalensky e Biden”.
Mikaela, la ragazza che finora ha fatto da traduttrice per permettermi di parlare con Ira, mi racconta la sua storia. “Nonostante sia originaria di una città vicino alla Romania, mi ero trasferita a Kiev per lavoro. La mattina del 24 febbraio 2022 ho sentito i bombardamenti. Ero con un mio amico, abbiamo deciso di tornare a casa e poi siamo partiti. Erano circa le nove del mattino. Per uscire da Kiev c’è una strada lunga circa dodici chilometri, abbiamo impiegato undici ore a percorrerla per via della fila di macchine che c’era. In tantissimi stavano scappando. Vedevo gli aerei passare sopra di noi e tutt’intorno c’erano diversi veicoli militari, fra cui i carri armati che passavano proprio su quella stessa strada. Abbiamo saputo che, un paio d’ore dopo il nostro passaggio, delle bombe sono cadute proprio su quella strada. Siamo stati fortunati. Siamo stati fermati varie volte dalla polizia che controllava che non fossimo cittadini russi, che voleva sapere cosa facessimo, dove eravamo diretti, c’era da impazzire. C’erano poi delle persone che volevano passare avanti agli altri e certi lo facevano in malo modo. Fra tutti ricordo un uomo che, a un certo punto, ha estratto una pistola. Per fortuna tutti si sono rivoltati contro di lui, fermandolo prima che potesse sparare. Ricordo che disse di aver viaggiato molto, perché veniva da Donetsk, e che adesso era bloccato lì, ma tutti noi lo eravamo. Abbiamo impiegato dodici ore per percorrere 600 km per arrivare alla mia città natale. Lì ho preso il mio gatto, e l’ho portato con me. Ho dovuto fare i documenti per il gatto. Ho deciso di andare a Roma, perché mia madre abitava già qui.
Durante il viaggio ho pianto tanto e anche quando sono arrivata qui a Roma, durante le prime due settimane ero sottosopra, ho scelto d’isolarmi da tutto e da tutti. A volte mi svegliavo durante la notte ed ero convinta di sentire ancora i bombardamenti. Mi sono rivolta a uno psicologo che mi ha aiutata a processare il tutto, ora sto bene e faccio la volontaria con questo gruppo per aiutare altre persone venute dall’Ucraina”.

I volontari si stanno organizzando per l’estate. Alcuni centri estivi accolgono ragazzi fino a 12-14 anni, quindi stanno cercando di mettere insieme un programma anche per i più grandi, quelli fino a 19 anni, affinché questi possano frequentare un corso intensivo d’italiano durante un campo estivo per poi avere eventualmente accesso a dei corsi professionali, per esempio d’informatica. Per i ragazzi maggiorenni, quindi quelli fra i 18 e i 19 anni, stanno pensando a farli vivere in ostello, dove potranno dormire e mangiare. Queste persone pianificano inoltre di far circolare un annuncio al riguardo in tutta Roma “perché ci sono tanti ragazzi scappati dall’Ucraina, molti da minorenni, alcuni da soli”. Un’altra fascia d’età particolarmente bisognosa di attenzioni è quella dei bambini dell’asilo, ovvero di età compresa fra i 3 e i 6 anni. Questi non frequentano un corso d’italiano ma svolgono le attività tipiche della scuola materna. L’Ambasciata ha preso accordi con degli stabilimenti balneari per farvi stare i ragazzi a divertirsi, almeno un po’.

Qualcuno dice che, ogni giorno, 100-150 persone ucraine arrivano a Roma. Molte pianificano di spostarsi fuori dall’Italia, ma le delusioni sono tante. Poiché questo centro si occupa principalmente d’insegnare italiano ai profughi ucraini, la sua gestione non è semplice per la natura incerta della migrazione forzata. Una volontaria mi dice, “Guardo quello che abbiamo fatto qui dal 15 marzo, e che continuiamo a fare, e non posso fare a meno di chiedermi perché non abbiamo fatto, e non facciamo, abbastanza per aiutare persone che scappano da altri conflitti, da altri Paesi”. Mi racconta poi di una persona, di cui ha parlato la cronaca in questi giorni, che qua in Italia si era resa disponibile ad accogliere un ragazzo o una ragazza profughi, ma si è rifiutata quando ha visto che il ragazzo che avrebbe avuto bisogno di essere accolto era di colore.
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